❝Il 23 settembre 1920 il bastimento Nordam culava maestoso le sue elliche nell’acqua turchina del grande Atlantico. Dopo quatordici giorni, sbatuto dalle onde dell’imenso oceano, per un caso di malatia infetta scopiata nel bastimento, ci trasbordarono tutti circa milesettecento paseggieri nell’Isola di Quarantina che si trova un mezzora distante da New York in mezzo al mare come in prigione in esiglio, due volte in America ambedue in quarantina. Pero questultima non e stata cosi cativa come la prima, secondo giorno che mi trovavo qua giravo atorno a questo recinto, costruivano un ospedale gia erano al coperchio per curiosità mi fermai entrai dentro nel vano del fabricato, e m’imbatei nel diretore dell’isola che io non conoscevo per nulla. Mi domandò se so parlare inglese gli risposi di si un poco. Avrei bisogno di tre quatro operai mi disse; due muratori per le stabiliture e fare i pavimenti in cemento, e due tre manovali. Io gli risposi; posso fargli io quel lavoro. Siete muratore voi mi disse; naturalmente se non lo fossi non potrei prendermi l’incarico. Orait vuol dire non occorre altro benon, allora potete pricipiar subito. Senta Signore quanto paga? Era questo d’importanza per me di sapere, tre dollari per voi, due per gli altri, otto ore di lavoro e mangiar buono coi miei impiegati: Orait risposi io vuol dire va bene siamo d’accordo provederò gli altri uomini e dopo mezzogiorno pricipiamo. Prego mi fara un biglietto per poter andar a maggiare nella sala dei suoi impiegati: yeser!! Ecco qui, Orait, e via in cerca dei paesani a raccontargli il dialogo, mi risero in faccia a crepa pelle quando gli avevo anunciato che avevo trovato lavoro, non credevano, chiamai da un lato Deanna Florindo detto cuoco e Angelo Moras, mostrai la carta per il pranzo buono, allora mi credetero e gli condussi meco a impienirsi lo stomaco bene e contentoni dopo mezzogiorno pricipiamo al lavoro trovai un altro muratore e a vanti non era fatica a trovar operai, si era dei migliaia vacabondando per l’isola: lavorando il tempo pasava più presto, che star in ozio, e si guadagnava anche qualche cosa si stette un dieci giorni, che mi passarono come un lampo. Otto ore era un spazzatempo e lavoro del mio mestiere che da dieci anni non tocavo più cazuola, intanto m’iportai benone un giorno prima di partire per la libertà il direttore mi fece chiamare nel suo uficcio quale mi fece la domanda se volevo tornare nel isola dopo pasata la visita a New York. Era stato contento del lavoro ma non era terminato. E mi disse avrei tanto lavoro qua ancora di costruire di nuovo. Se volete ritornare sarei molto cotento mi disse. Bene gli disse io quanto mi paga? Sentite mi disse, vi dò una stanza da letto solo luce sapone mangiare, lavato, e stanza pulita tutti giorni qui non vi manca niente e un giorno alla settimana di sortire se volete per i vostri affari, del resto potete stare qua e riposarvi e la paga a mese però ogni quindici giorni potete avere la vostra moneta: bene quanto vuole pagarmi per mese? Quanto volete? Mi darà centodieci dolari gli dissi io, vi dò cento dolari; e con me vedrete che non state male, ed accordai; avevo combinato anche per i paesani per setantacinque dollari netti, prima avevano tanto insistito a ciò, che parlassi anche per loro dopo aver combinato non tanto facile, fecero altre pensate e mi lasciarono solo, loro avevano gambiato idea. Ve lo dico io in verità voleva buon fegato a ritornare in questo lazaretto, era cosi sporco, cosi sudicio, mangiar male i poveri emigranti, una porcheria, era un vero suplizio a chi toccava la sorte di capitare qua dentro. Erano lagrime ve lo giuro, tagliati dal mondo in un recinto come una prigione, di ospedale di malatie infette tifo, vaiolo, scarlatina, febre giala, tutti qua gli mandano questi e da paura che la malatia si slarghi in cita e si propaghi la epidemia. Dunque voleva del coraggio che ne dite? Ma i cento dolari netti al mese mi fecero venire il coraggio il giorno 18 ottobre 1920 uscivo per la visita per ritornare poi lo stesso giorno, ma ho perduto il vaporetto era arivato al porto dieci minuti troppo tardi: cosiche dovetti andar in cerca d’alloggio per quella notte, era una sera brutale sotto una piogerella d’autuno piutosto fredda, girava per la cita di Rosebanck Staten Island che dal isola circa venti minuti di vaporetto su giu per le case per le osterie sempre per niente, era stanco della giornata tutto il giorno in piedi e in camino senza mangiare credendo di far tempo di tornar la sera stessa ma niente mi giovo e mi toccava girare per poter trovarmi un posto per ricoverarmi, sempre feci fatica per provedere l’alloggio per tutto più che il lavoro. Basta alla fine trovai in una osteria una camera una vera concimaia la sporchizia un orrore da far rabbravidire, di grazia di essere a ricovero. Suonavano undici ore di notte che entravo in questa stamberga, mi coricai in questo lettamaio di letto, ero stanco ma il sonno non voleva mai cogliermi ho potuto contare tutte le ore che un orologgio di una vicina torre suonava, infine senti battere le cinque poi le sei, il vaporetto partiva alle sette avevo mezzora di camino feci un salto ero gia pronto esendomi coricato con le scarpe e saltai fuori da quel condotto minviai verso la stazione, alle sette e mezzo ero gia all’isola, il direttore quando mi vide mi fece una straordinaria accoglienza: mi assegno una stanza da solo un bel letto netto e pulizia straordinaria il mio armadio spechio e catinella di lavarsi aqua calda e fredda infatti tutte le comodità dirimpetto al mare con una bella finestra, ove sono tuttora che sono gia scorsi due anni che mi trovo qui, il tempo naturalmente mi sembra molto longo non avendo nessun svago nessun divertimento, ma nello stesso tempo posso chiamarmi fortunato fin ora e non posso lagnarmi intanto non ho sofferto nulla finora e mi hanno in buona considerazione.
Anzi oggi che finisco di scrivere le mie memorie di quel passato siamo nell’anno presto al termine 1922 giorno di Natale 25 dicembre ore dieci ant. in questo momento mi fu telefonato dal maggiore di tutti i dottori della Quarantina quello che comanda tutto il departimento della sanita di New York. Stando a casa sua fu ricordato d’inviarmi gli auguri di Buon Natale e buon capo d’anno domandandomi quando termino la vacanza, appena terminato m’invito al Stazione di Quarantina che deve parlarmi; m’imagino, io spero cose buone, ho lavorato io tutto lestate cola e anche per casa sua. Sabato venturo che termino mi portaro cola come gli promisi, son cose nianche di non crede-re un signorone di quella sorte pensarsi di chiamarmi al telefono per gli auguri. Mai piu me la imaginavo, un graduato di quella sorte degnarsi a parlare con un umile operaio, epure gli americani non sono superbi tanto orgogliosi come certi d’uni da noi, sono gente semplice ordinaria parlano di tutto specialmente di lavori, che io mi faccio moltissima meraviglia. E vero che l’America non si può lusingarsi, oggi va a confie vele magari domai è tutto cambiato questo generale è da solo un anno che alla carica finora non ho di che lagnarmi per l’avvenire non si sa, ma ormai non mi fa più tanto caso.❞
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(dall’autobiografia di Antonio De Piero, conservata presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano)
scheda completa
il libro edito da Giunti / Diario italiano
Antonio De Piero nasce nel 1875, a Cordenons in provincia di Pordenone. Una vita a rincorrere la normalità, la sua, in giro per il mondo. A 15 anni la prima partenza, il primo confine varcato per andare nell’Impero Austro-ungarico a costruire ferrovie. Uno, due, cinque… e la fame che torna a mordere e a imporre una nuova partenza, questa volta verso il Canada, verso i grandi giacimenti di carbone, ferro, oro, legnami. Nel 1912 attraversa l’oceano ma non trova quei guadagni facili in cui aveva sperato: ore e ore trascorse in rischiose miniere e sette anni lontano dalla famiglia, mentre nel “Vecchio continente” infuria la Prima guerra mondiale. Il tentativo di tornare in patria nel 1919 viene frustrato dalla depressione che soffoca l’Europa, che brucia i risparmi di anni di fatiche. La decisione di tornare di nuovo in America è ancor più sofferta della prima, ma ineludibile.