Attilio Corengia

❝un tuo desiderio
di conoscere il mi[o] periodo passato nella guerra in russia
ti sia gradita la mia storia
tuo Papà❞
[dedica che appare sulla prima pagina del diario, scritta dall’autore per la figlia Teresita]

❝[…] attraversando l’austria si arrivò alla frontiera e si vide la bandiera italiana, da tutti i vagoni un grido di gioia e fra noi sul carro ci abracciavamo e saltellavamo dalla gioia. cera perfino chi piangeva dalla gioia di poter ancora rivedere la propria nazione. scesi dal treno in fila ci portarono in un recinto in attesa di ordini. alle quattro pomeridiane ci avvertirono di prendere la gavetta e lasciare la roba zaino compreso, che dopo saremmo ritornati a prenderla non mi piaceva qu[e]lla parola (ritornare a prenderla) e volevo portare con mé l’icona, ma dovevo piegarla troppo e sarebbe stata rovinata, però una speranza di ritornare al zaino cera ancora in mé.
avviatoci in un grosso edificio e nudi ancora si subi una seconda disinfestazione. poi inviataci in un secondo stanzone ci diedero altri indumenti. solo che maglie e mutande erano nuove, ma camicia e giacca, pantaloni erano da altri soldati che in precedenza avevano avuto lo stesso trattamento ma disinfettate. li venne il bello e il caos, primo [per]che le misure personali non erano adeguate, chi aveva una giacca piccola chi i pantaloni corti e viceversa. si è potuto accomodarsi un po’ facendo il cambio fra noi, ma con fatica per trovare la misura giusta. in più nelle cuciture della giacca e nei pantaloni trovammo dei pidocchi morti. e prima di metterli dovevamo con le mani sfregare quelle parti per levarli.
pero appena avuto l’occasione che nessuna guardia si trovava verso il cancello corsi dove avevamo lasciato gli zaini. erano tutti am[m]ucchiati. cercai in mezzo a quelli il mio ma erano troppi. uniti ai nostri altri centinaia di zaini furono gettati in quel posto. ma ecco arrivare due carabinieri, e mi costrinsero a lasciare il posto. supplicandoli che cercavo una foto dei miei genitori, ma niente da fare dovetti andarmene. allora mi rimase nella gavetta due bussole e un beretto di carrista.
ritornato al mio reparto, dove si rideva uno con l’altro per la divisa che si portava, sembravamo dei pagliacci. arrivarono dei ufficiali, e in colonna ci portarono a (vipiteno, o pieve di teco) in una caserma. eravamo in quarantena. nei quaranta giorni molti ebbero dei disturbi di fegato o (epatite virale) ma per mé niente
nel interno del campo in un punto dove non cera muro ma una cancellata molte persone al esterno avevano delle foto che chiamando dei soldati gle li mostravano e gli chiedevano se l’avevano visto o se sapevano qualcosa. a mé faceva[no] pena vedere come certe mamme chiedevano notizie dei propri figli. quante speranze quelle povere donne, mentre i loro cari avranno finito di vivere al fronte o in quella immensa pianura per il freddo o il gelo.
passato i quar[an]ta giorni ci inviarono a cuneo. sul treno cercavo con attenzione di vedere la stazione di milano per rendermi conto che proprio sono a casa. ma non riuscii a vedere molto perche si passò di notte
arrivato a cuneo ci portarono nella caserma. l’amico chicco che abitava a moretta, circa undici chilometri dalla citta, vennero i suoi genitori a trovarlo e gli portarono tanta
roba da mangiare. mi presento ai suoi famigliari e anche alla sorella che era molto carina, e al primo permesso che lui poteva avere se anchio partecipavo che avrebbero piacere di ospitarmi a casa sua. cosi av[v]enne. e pas[s]ammo quasi tre giorni al suo paese, era il momento che trebbiavano il grano. tutte le sere era una festa si parlava coi suoi genitori e molti parenti anziani di quanto ci è accaduto e delle av[v]enture per poter ritornare.❞

l’uscita su Facebook (leggi e commenta)

(dalla memoria di Attilio Corengia, conservata presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano)
scheda completa

La ritirata di Russia, con antefatti e conseguenze, rievocata in un documento descrittivo di eccezionale precisione, che va dai rapporti con la popolazione al dramma collettivo di migliaia di persone spinte dalla fame e dal gelo persino a puntare il fucile per avere cibo dai contadini.

disegno realizzato dallo stesso Attilio Corengia nell’ultima pagina del suo diario