❝La guerra era finita. Noi eravamo a letto con la “spagnola”. Gli unici che ne furono immuni furono il papà, e i fratelli maggiori Pippo e Bruno; mia sorella Anna, io e la mamma eravamo a letto con questa “spagnola” insieme al fratellino. “Cichin” (piccolo) Il papà era diventato infermiere; beveva grappa perché dicevano che disinfettava tutto, e in più teneva continuamente una cicca di sigaro in bocca. Questa malattia si prolungava e non finiva mai. Nelle strade imbandierate per la fine della guerra, si sentivano continuamente canti e musica. Noi eravamo a letto con la febbre che ci divorava. Un dottore molto anziano ci veniva a trovare un giorno sì e uno no, ordinava degli sciroppi, ci auscultava tutti e diceva: “Finché non vengono delle complicazioni polmonari c’è speranza “. La “spagnola” seguitava il suo corso; la mamma febbricitante minacciava di alzarsi contro il parere del vecchio dottore. Il papà aveva gli occhi lucidi, ma non per la grappa: il Cichin faticava a respirare. Il papà per la circostanza vestiva una giacca di tela bianchissima inamidata che ogni due giorni, e precisamente quando veniva il dottore, alternava con un’altra. Il dottor Bergonzi era contento dell’infermiere; tutte le volte prima di andarsene gli consegnava le ricette e ripeteva le raccomandazioni: “Solo con l’igiene e la grande pulizia si combatte questa “spagnola”. Al mattino, prima di aprire la finestra, copritevi fino al naso, tenete aperto due o tre minuti soltanto che sono più che sufficienti per cambiare aria, e poi mantenete la temperatura della camera sui 18–20°. Il vecchio Franklin era sempre caricato notte e giorno di legna, un lungo termometro applicato al muro segnava la temperatura. Il papà aveva il suo da fare, però era triste. Papà e mamma confabulavano; io assistevo a questo pissi pissi, con un forte mal di testa. In strada la gazzarra seguitava, avevamo vinto la guerra. Mia sorella sembrava meno colpita, aveva poca febbre e poco mal di testa. Fu la prima ad avere il permesso di alzarsi, poi toccò alla mamma; io e il Cichin rimanemmo a letto ancora. Venne la zia Ermelinda (era la sorella della mamma), faceva la levatrice; venne a portare il suo conforto morale e anche materiale con una sporta di provviste. Con grande pazienza riuscì a pettinare la mamma. La “spagnola” demoliva la capigliatura delle donne. Seguitava a pettinare i capelli usando un lungo ferro da maglia al posto del pettine; poi alla fine, riuscirono a fare il “pipullo”, ovverossia la crocchia. Il vedere la mamma alzata, pettinata, bella, pur se molto pallida, ha dato un tono a tutti noi. A Pippo e a Bruno era sempre proibito di entrare in camera, ci salutavano a voce; papà faceva da guardiano. Poi quando Dio volle il mal di testa diminuì la febbre scese a poche linee, la mamma e il papà mi alzarono e mi portarono vicino alla finestra, a vedere la bandiera dei tre colori, esposta di fronte alla nostra casa❞.
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(dalla memoria di Gaetano Dionigi, conservata presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano)
la scheda completa
I ricordi del tempo che fu: la banda di amici, la febbre spagnola, il fascismo che non fa più cantare “Bandiera rossa”, la strada con le prostitute dietro i portoni aperti. Poi la ferma nell’areonautica militare e la risalita dalla miseria fino all’impiego come disegnatore tecnico in una fonderia.