Luca Pellegrini

❝Trieste, anno 1836 Gennaio Febbrajo
La mia provenienza m’assoggettava ad una quarantena di 6 settimane. Convengo che trattandosi della pubblica salute, le più minuziose precauzioni non devono parere superflue e che meglio vale il troppo che il troppo poco in fatto di rigorose misure. Ma sei settimane di prigionia, sei settimane d’isolamento! Non è egli spingere un poco troppo queste misure di rigore? Io ebbi, ed a più riprese, occasione di trovarmi dove la peste orientale faceva strage, per esempio a Varna ed a Siropoli nell’anno 1829. Dove questa malattia s’annunziava per casi sporadici come a Smirne, in Egitto, a Tripoli ebbi altresì campo d’accertarmi che se nessun sintomo siasi sviluppato si può esser certi che il pericolo è svanito, a meno che non si conservino in bauli, casse ecc. ecc., ermeticamente chiusi degli indumenti che dopo esser stati in contatto con persone od oggetti riconosciuti infetti furono rinchiusi senza prima averli esposti per qualche giorno ad una libera e possibilmente forte ventilazione. Questo caso non è ammissibile in una quarantena perché non si tosto giunge un bastimento in un Lazzaretto viene egli immantinente scaricato e gli oggetti appartenenti all’equipaggio, come pure gli oggetti d’inventario del bastimento stesso, vengono esposti ad una ventilazione che con nome d’uso dicesi sciorino. Terminato questo sciorino il bastimento ed il suo equipaggio potrebbero, e senza pericolo di sorte, venir ammessi a libera pratica senza far perdere al primo un tempo prezioso e condannare il secondo ad una inazione che talvolta seco porta conseguenze funeste.

Forse verrà giorno in cui non solo i commercianti alzeranno la voce sull’assurdità degli attuali regolamenti sanitarj, ma che i rispettivi governi si convinceranno dell’inutilità delle severe misure ora in vigore, misure che presentano non lievi inciampi al moto rapido e benefico che la moltiplicazione delle ferrovie e della navigazione a vapore ogni giorno aumenta e che finirà col far d’Europa tutta una sola provincia.
Intanto aspettando tempi migliori io dovetti consumare le mie sei settimane in Lazzaretto S. Teresa che per dire il vero, grazie alla società di alcuni miei compagni di detenzione, non mi parvero tanto lunghe quanto altre volte. Forse che l’essere io padrone delle mie azioni, il poter scendere a terra quando voleva benché colla massima precauzione di non avvicinare chi aveva più lunga prigionia di me, abbia non poco contribuito a rendermi men nojosa questa contumacia.
Ai 10 di Febbrajo spirava la mia quarantena e lo stesso giorno io passava colla mia Triestina nel Canal Grande ove in tutta sicurezza attesi a noleggiarmi non trascurando anche di approfittare dei leciti divertimenti che il carnevale offeriva a chi aveva la possibilità di disporre di quando in quando di qualche fiorino. Quei pochi giorni rimasti a Trieste posso dire d’aver cominciato a vivere❞.

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(dal diario di Luca Pellegrini, conservato presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano)
approfondimento
il libro edito da Terre di mezzo

Una vita in mare, per un ragazzo che a 16 anni, nel 1822, rimane orfano di padre e viene imbarcato per la prima volta come mozzo su un veliero che fa il piccolo cabotaggio dal golfo di Trieste a Venezia. È un’epoca in cui l’Adriatico bagna le coste dell’Impero austriaco e le navi che solcano le acque sono ancora, in gran parte, quelle a vela. Luca diventa un uomo, ancor prima che un capitano, battendo palmo a palmo i principali porti e le località più recondite del Mediterraneo.