Vincenzo Rabito

❝Così, venne il treno e partiemmo. E avante che fureno li ore 9 del mattino forimo a Ferenze, doppo che avemmo camminato con il treno 2 notte e 2 ciorne. E in tutte li cettà, comincianto da Padova, sentemmo cantare questa canzone del «Piave mormerava», speciarmente quanto passavino soldate che venevino con il treno del fronte. E antammo con il treno. Sempre sentemmo questa canzone, «Il Piave mormerava», di tutte li ragazze, speciarmente nel passare di Roma e Napole. E in 5 ciorne fuommo amMesina, che poi per Catania ci volle un altro ciorno. Quinte penzaie che per potere quadagnare un ciorno mi conveniva prentere il treno che antava a Caltagirone, e poi scentere a Vizzine-campagna, e poi doveva cercare un carretto che antava a Chiaramonte, o pure mi la doveva fare a piede.
E per strada davero c’erino tante carrettiere che antavino verso la casa cantoniere del Filo Zincoro. E menomale che uno mi ammesso la cassetta sul suo carro, perché io cià mi aveva stancato. E certo che più assaie che poteva arrevare era a Licordia. E io diceva tra me: «Macare lo dico io al carretiere che mi carica la cassetta sul carro». Ma non ce ne fu bisogno, che aveva stato fortenato. E così, io aveva secarette, lui era un bravo fumature, e ci ne sono recalato uno pachetto e ci siammo messo a parlare.
E così, mi racontava che: – Qui, in tutte li paese, c’eni una febre spagnola, che a cente ni stanno morento più assaie della querra –. E ci ho detto che lo sapeva che c’era questa febri spagnola, perché l’aveva sentito dire a Napole, amMissina e a Catania. Ma io della spagnuola non mi impresionava, perché veneva dell’inferno, e poi che penzava che doveva antare a vedere a tutta la famiglia mia, perché aveva 18 mese che non vedeva ammia madre.
[…] Ma li ulteme 3 ciorne mi ha vestuto di coraggio e, caminanto, queste ultime 3 ciorne, mi sono acorto che a Chiaramonte con la spagnola ni morevino più di 20 al ciorno: li carrecavino con li carrette, e poi la cascia ci la facevino con 4 pezzi di tavola qualunquie, bastiche li portavino al cimetero. Perché li muorte nelli famiglie, come morevino, subito li quardie stavino pronte, e li carabiniere ci li facevino portare subito al cimitero, perché con la puzza facevino morire a quelle vive. E quelle che non avevino parente ci le portava il comune, a spese del comune. E poi il comune ci sventeva quello che il morto lasciava, e così il comune si pagava con la propietà che il morto aveva.
[…] E io fenie questa devertente licenza, e doveva partire, e li ciornale portavino che si doveva fare una forte offenziva per tuttu il fronte italiano, che era la resposta che l’esercito italiano doveva dare alla sercito austrieco. E sapeva che come parteva di Chiaramonte un’altra volta doveva antare ammorire come le brutte ciornate del Piave. […] E così, mi sono presentato al comando della bricata […] e l’oficiale de servizio mi ha detto che: – Al momento parteno li contecente che portino il manciare alla Valsocana e ti ne va con loro, che ti porteranno propia al 2 battaglione, dove tu deve antare, che lì c’ene il comando di battaglione che lo comanta il maggiore Tordo, che tu, come lo vede, lo conoscie, perché ene catanese, questo bravo capitano.
Poi, mi ha domandato: – Che se ne dice di questa spagnola in Secilia? – E io ci ho detto: – Signore capitano, ammio paese, a Chiaramonte, nella provincia di Siraqusa, mentre che io sono stato allicenza, ni moreno dai 20, 24 al ciorno. E certe paese, che sono vecino ai fiume, stanno morento tutte li donne ciovine con questa malatia –. E il capitano mi ha detto: – Figlio mio, è sempre causa della querra, che c’ene la destruzione per tutte! – E io ci ho detto: – Signore capitano, questa malatia che la chiamino «spagnola» che non feniscie maie!? – E recordo che mi ha detto: – Tu ancora sei ragazzo e non lo puoi capire, perché d’ogni cosa deve fare il suo corso –. E mi ha detto: – Racazzo mio, fatte coraggio, che la spagnola è quase fenita, e fra 2 mese feniscie magare questa maledetta querra.❞

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(dall’autobiografia di Vincenzo Rabito, conservata presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano)
scheda completa
il libro pubblicato da Giulio Einaudi Editore

L’epopea picaresca di un siciliano semianalfabeta, classe 1899, raccontata in mille fittissime pagine, con il punto e virgola a dividere ogni parola dalla successiva. Così la guerra sul Piave è spogliata di ogni retorica – cinico e disincantato, Vincenzo pensa solo a dormire e mangiare -, poi vive la povertà del Meridione, la Libia e l’Abissinia in camicia nera, fa festa per lo sbarco degli Americani, pratica la borsa nera, favorisce il banditismo, sempre destreggiandosi fra mafiosi e carabinieri, contrabbando e legalità.